Partigiani contro partigiani, pubblicato il documento su Cossu e la banda Piccoli

A riaprire i termini di quei fatti di sangue oggi è la rivista “Storia in rete”, che nel numero di maggio che offre un elemento in più alla ricostruzione: il verbale del giudice istruttore presso il Tribunale militare di Torino che il 7 luglio 1946 si pronunciò sugli avvenimenti

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Partigiani contro partigiani in alta Val Luretta. Siamo alla fine della primavera del ’44 e lo scontro avvenne nella zona di Moiaccio proprio dove si trovano le sorgenti di un ramo del torrente. Da un lato la banda “Piccoli” comandata da Giovanni Molinari, comunista, dall’altro la formazione azionista capeggiata dal carabiniere Fausto Cossu, che poi divenne comandante della Divisione Giustizia e Libertà, la più numerosa della provincia. 

E’ uno degli episodi più tragici, e anche più controversi e dibattuti della Resistenza piacentina: quattro componenti della banda “Piccoli” vennero fucilati dal gruppo del comandante Fausto, con l’accusa di “gettare discredito” sulla lotta partigiana attraverso vessazioni, azioni di rapina ed estorsione anche a danno dei civili.

L’eredità di quella vicenda è fatta di strascichi storici, lunghe reticenze e anche di memorie che hanno camminato divise. Il primo a guardare in faccia ai fatti con occhi più distaccati fu lo storico Mirco Dondi nel volume “La Resistenza fra unità e conflitto” del 2004, arrivando alla conclusione che quell’episodio “fratricida” andasse ricondotto ad una fase d’avvio della lotta partigiana, caratterizzata anche da scontri ideologici e personali, nonché dalla mancanza di comuni regole di comportamento. Una fase che venne superata con la maturazione unitaria del movimento, politico e militare, di Liberazione. 

A riaprire i termini di quella vicenda di sangue oggi è la rivista “Storia in rete”, che nel numero di maggio che offre un elemento in più alla ricostruzione: il verbale del giudice istruttore presso il Tribunale militare di Torino che il 7 luglio 1946 si pronunciò sugli avvenimenti del 5 giugno di due anni prima ed emise la sua sentenza di proscioglimento del tenente dei carabinieri, il comandante partigiano Fausto Cossu dall’accusa di quadruplice omicidio dei partigiani Giovanni Molinari (detto “Piccoli”, da cui il nome della banda), Mario Enrico Amboli, Gino Lodigiani e Giuseppe Gabrielli. La sentenza fu emessa a seguito della denuncia fatta alla fine della guerra dai parenti dei partigiani fucilati.

La vicenda si svolse tutte sulle montagne piacentine, in una zona ad alta densità partigiana, tra le valli del Tidone, Luretta e Trebbia. Ecco come viene presentata nell’articolo firmato da Aldo G. Ricci.

I FATTI tratti da “La Storia in rete” – Nel settembre 1943 cominciano a formarsi le prime bande partigiane composte principalmente da antifascisti e renitenti alla leva. Giovanni Molinari è un militante comunista di Fiorenzuola, nato nel 1900 da una famiglia socialista (il padre è stato sindaco del paese).

Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, il Pci clandestino, con il quale aveva mantenuto i contatti, dà incarico a Molinari di organizzare la resistenza nell’alta Val Tidone.

Sul monte Lazzaro nasce, quindi, dall’iniziativa di Giovanni Molinari, una delle prime formazioni ad entrare in azione, denominata Banda Piccoli, dal nome di battaglia del suo comandante.

Il 31 marzo 1944 Piccoli, insieme ad un altro membro della Banda, uccide a Pecorara Francesco Oddi, commissario prefettizio e segretario del fascio locale e Riccardo Amori, bruciando poi i registri di leva per sabotare il richiamo alla leva dei giovani.
La banda Piccoli procede anche a requisizioni ed estorsioni nei confronti della popolazione locale, creando un clima di malcontento e di ostilità.

Nel frattempo si era formata un’altra unità partigiana, con caratteristiche diverse, nella zona dell’Alzanese (nei pressi del passo della Caldarola, sul crinale delle valli Luretta e Trebbia): la Compagnia carabinieri patrioti, formata dal tenente dei carabinieri Fausto Cossu, che, dopo essere riuscito a fuggire dal campo di Kaisersteinbruck, a Bologna convince altri carabinieri a seguirlo sulle montagne del piacentino per combattere i tedeschi.

Cossu è un militare anticomunista con un forte concetto di legalità, convinto che requisizioni, rapine, vessazioni e violenze gratuite possano pregiudicare il sostegno alla Resistenza. Ci sono tutte le premesse perché la compagnia di Cossu entri in conflitto con la banda Piccoli. Infatti gli scontri si moltiplicano fino all’epilogo sanguinoso.

Dal verbale: “Vani essendo stati i tentativi per far desistere gli uomini del Piccoli da tali procedimenti vessatori e delittuosi, e anzi avendo questi assunto un atteggiamento minaccioso nei confronti dello stesso tenente Cossu e dei suoi uomini dai quali pretendeva la consegna delle armi, ritenuta la necessità di agire prontamente e in modo radicale per ovviare ai gravi pregiudizi sopra prospettati… catturati il Piccoli ed altri cinque suoi uomini, veniva deciso dal ten. Cossu e dai suoi collaboratori di liberare due dei catturati ritenuti non colpevoli e di passare per le armi gli altri quattro (…) che erano in possesso di parecchi biglietti di banca e di oggetti d’oro vari per il peso complessivo di circa 500 grammi.”

Il giudice istruttore osservava poi che l’esecuzione non era stata determinata da motivi personali, ma da “ragioni superiori e di interesse generale” che il “tenente Cossu agì nei limiti di una legittima potestà giurisdizionale, applicando la procedura che gli era consentita dalla critica situazione in cui era venuto a trovarsi” e che sarebbe poi stata avallata dal Comitato di Liberazione Nazionale. “L’azione penale quindi nei suoi confronti è improponibile per avere egli agito nei suoi poteri di comandante militare sul campo di battaglia”.

Dopo la fucilazione dei quattro partigiani, la Compagnia di Cossu vide crescere costantemente i suoi aderenti fino a formare la Divisione Giustizia e Libertà, che entrò a Bobbio dando vita ad una repubblica partigiana, la quale fu sciolta poco dopo.

Nel 1945 Cossu riunì le formazioni, creando la Divisione Piacenza, che il 28 aprile riuscì a liberare la città.

Per due settimane Cossu fu il questore di Piacenza liberata, per poi tornare nei ranghi dell’Arma, dalla quale si congederà qualche anno dopo. Continuerà a vivere a Piacenza, esercitando la professione di avvocato fino alla sua morte, avvenuta nel 2005.

 

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